conosci te stessa

La mia fioritura

Dai primi anni Duemila i corsi e percorsi di crescita personale sono diventati un must. A parte poche eccezioni, la parola “crescita” si trova condita in tutte le salse, accompagnata alla parola “cambiamento”.
Il messaggio che ci arriva da più fronti, anche in modo ambiguo e manipolatorio, è che per stare bene dobbiamo crescere e cambiare come se il cambiamento non fosse già insito nella natura delle cose. La parola “crescere”, poi, ci dà un senso parziale della realtà. Si cresce fisicamente e si matura mentalmente e psichicamente fino al raggiungimento dell’età adulta, stabilita secondo parametri precisi (?). E poi? Poi, una volta cresciuti nel corpo e dichiarati adulti si fa di tutto per mantenere lo status quo mentre di fatto il cambiamento è costante, continuo e indispensabile per alimentare la propria energia vitale.
Va da sé che da adulti crescere e cambiare non sono più sinonimi e possiamo ora incontrare una profondità nuova, la corrispondenza con un’altra parola che, guardacaso, arriva dal mondo vegetale: fiorire. La fioritura non è questione di anagrafe e abbraccia un cambiamento che non ci vuole diverse per volontà di qualcuno o di una parte di noi che quell’imperativo categorico l’ha ben interiorizzato. La natura umana è come un seme che germoglia e fiorisce e lo fa per tutto il corso della vita. Lo fa secondo tempi che gli sono propri e hanno a che vedere con le stagioni di cui madre natura ci fa dono. Lo fa per il nostro bene.

In questa prospettiva non esiste il dover crescere, ma semmai il piacere di fiorire, amor di sé che è amore per la vita stessa. Non dover essere in un certo modo, ma voler essere chi sono a partire da quel minuscolo seme che contiene già tutto in nuce, dentro di sé. Nulla da rinnegare né da annullare.
Quante volte nella mia adolescenza mi sono sentita ripetere da persone per me autorevoli, quante volte ho letto che bisogna annullarsi per amore! E io ci credevo, credevo che quella fosse la strada della bontà – l’unica – e quante volte di conseguenza mi sono sentita incapace, deludente e sbagliata… So che siamo in tante, tantissime ad averlo provato.

E, sinceramente, ancora oggi provo diffidenza nei confronti di quel filone di pensiero che insiste nella rinuncia della dimensione individuale della vita, per intenderci l’ego incarnato. Se le radici sono nell’anima, nella parte più profonda e intima di noi stesse – l’essenza di ciò che siamo – è pur vero che sono anche nel corpo senza il quale non saremmo qui ora, non proveremmo emozioni, non avremmo pensieri. In fondo siamo un tutt’uno. La nostra storia è un tutt’uno. Mi lascia un po’ perplessa anche quel filone della psicanalisi che invita a non fare proprio nulla di diverso da quello che facciamo perché un seme fiorisce da solo. Nulla anche se desideriamo qualcosa altro per noi. Sì, esiste una gran varietà di semi spontanei che crescono persino là dove sembra che di terra non ce ne sia neppure un briciolo. Ma è pur vero che per diventare una pianta che dà frutto, un seme ha bisogno di terra buona e acqua, sole e ombra, insomma di tutto ciò che la natura può offrirgli. In altre parole, aiutati che dio ti aiuta.

Io sono per l’integrazione. Credo che l’essere umano sia completo nella sua complessa polarità: umano e divino, terrestre e celeste, luminoso e ombroso. Non vi mai capitato di piangere e ridere nello stesso tempo?
Integrare per me è un atto umile e coraggioso. Un atto gentile verso noi stesse. Significa guardare, osservare, ascoltare, comprendere, abbracciare infinite volte tutte le parti del mio essere donna provando ogni volta a lasciare andare il controllo. Non ci viene spontaneo come per il seme fiorire.
Integrare ovvero recuperare l’integrità con la quale siamo venute al mondo. Fare questo pianta semi di fiducia dentro di noi ed è generativo, trasformativo. Il cambiamento vero. Il seme che diventa albero e frutto, sentirsi vive, essere vive, consapevoli del fiore che portiamo dentro.

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