maschile e femminile, ruoli sociali

Se è un errore, allora

Un’amica mi ha riportato un dialogo che è l’ennesima conferma di… No, prima ve lo racconto. Aggiungere altre parole non serve.

La donna la chiamiamo Anna.
Da bambina Anna ha due sogni e non sa quale desidera di più. Sogna di progettare case in quartieri pieni di alberi, abbaini per vedere le stelle, cucine con un grande tavolo al centro e terrazzi su cui disegnare e ritagliare figure colorate.
Anna sogna anche dei bambini suoi. Ama la matematica, il disegno e i bambini. Se potesse scegliere, prima una bambina e poi un bambino, non sa esattamente perché. Ma anche due bambini o due bambine andrebbero benissimo, ci mancherebbe.
I suoi genitori le permettono di credere ai suoi sogni, coltivarli e custodirli finché possano sbocciare proprio come i fiori, lasciandole la libertà di seguire la sua strada. Quando si iscrive ad ingegneria, le donne sono pur sempre una minoranza, ingegneria edile per giunta. E nei cantieri incomincia davvero ad andare, con i suoi progetti in mano e la felicità negli occhi.

Felicità che diventa incontenibile e condivisa dal suo compagno quando nasce la primogenita e dopo due anni il ventre incomincia di nuovo a lievitare.
E arriva il momento di condividere la bella notizia in ufficio. Precisiamo: condividere la gioia sa che sarebbe irrealistico. Il suo capo non è uno con cui si possa condividere altro che non sia un obiettivo lavorativo. Per lui i suoi sottoposti sono il ruolo che hanno, il resto non è affar suo.

“Ingegnere, buongiorno”.
“Dica pure” risponde il manager senza alzare gli occhi dal documento che sta controllando. (E già questo la dice lunga).
Anna non si perde in preamboli: “Aspetto un bambino. Ci tengo a farglielo sapere per tempo. Mancano diversi mesi al congedo di maternità, ma almeno così possiamo organizzare il lavoro nel miglior tempo possibile”.
L’uomo alza la testa. Nessun moto di empatia. “Un errore?”.
Anna ammutolisce. “Come sarebbe un errore?!”.
Lui non replica, ma continua a guardarla gelidamente.
Anna in quel momento ha un’illuminazione. “Se è un errore, allora anche lei lo è!”.
“Ovvero?”.
“Ovvero se lei è qui, lo è perché una donna l’ha portato in grembo per nove mesi e l’ha messo al mondo! Se l’è dimenticato?!”.
Scacco matto.

In realtà non è scatto matto. Quelle parole non sono uscite, ma non è questo il punto.
Il punto è che i talenti che una donna affina in maternità non sono neppure lontanamente considerati un valore. Resiste una mentalità patriarcale arcaica secondo cui scrivania e figli non sono compatibili neppure di fronte all’evidenza contraria.
Uomini arroganti dentro una cultura arrogante che sottrae bellezza al mondo. Accade anche il contrario, è vero e menomale, ma quando accade è un evento e non la normalità.

Quali pensieri generano un comportamento del genere? Quali motivazioni alimentano un modello che penalizza la vita stessa?

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